Calcio italiano: serve una scossa
Il calcio italiano ha toccato il punto più basso della sua
storia. Non lo dico io, ma i risultati degli ultimi anni. Europeo vinto a
parte, che si è dimostrato essere un fuoco di paglia, tutto il resto ha
bisogno di essere rifondato. Luciano Spalletti si è fatto carico di una situazione molto complicata. Ma quali sono i problemi che affliggono il nostro
movimento? Molti purtroppo. Ma se vogliamo andare in profondità, ce ne sono
almeno due, a mio modesto parere naturalmente, che non possono essere sottovalutati. Il
primo: negli ultimi anni è completamente sparito il calcio di strada ed è quasi
scomparso quello negli oratori. Non ci sono più le partite interminabili
al campetto dove i bambini giocano solo ed unicamente per il puro piacere di
farlo. I ragazzini di oggi sono tutti già indottrinati ed impostati. Manca il
calcio istintivo, l'uno contro uno, l’individualità. La fantasia e la
creatività sono soffocate dagli schemi. Non c’è più il senso di appartenenza. Non
c’è più il sogno di giocare per la squadra della propria città. Aggiungerei anche
il danno provocato dai genitori, sempre più petulanti e spesso irrispettosi
verso l’allenatore e la società in cui gioca il proprio figlio. Tutti sperano
che la propria creatura posso un giorno sfondare nel calcio che conta senza
preoccuparsi magari della sua felicità o del suo stato d’animo. Quando ho
iniziato a giocare a calcio, primi anni ’80, era tutto diverso. Prima di tutto
non c’erano genitori attaccati alla rete. Gli unici presenti avevano il compito
di accompagnarci alle partite, spesso con le proprie auto. Mi porto dentro il
ricordo di Luciano, papà del mio amico Mauro, che con la sua fiat uno rossa ci
ha portati ovunque. Persona straordinaria, sempre presente durante tutta la
trafila delle giovanili. Io ricordo che ho iniziato a giocare per passione. Giocavamo
ovunque, anche in mezzo alla strada, con i vestiti a fare da pali della porta. Ho
perso il conto delle partite giocate all’oratorio dopo la scuola. Ore e ore di
sfide dove l’unico giudice era il campanile. Allo scoccare di una certa ora si
andava tutti a casa, spesso con escoriazioni varie. Ma con un sogno: quello di
giocare nel Brescia. Non ho mai pensato ai soldi. Nella mia testa c’era solo ed
esclusivamente l’ambizione di esordire con la maglia del Brescia al Rigamonti (in quale categoria non importava). Si partiva dai pulcini e si arrivava fino
all’under o negli juniores. I più meritevoli approdavano in prima squadra. Era decisamente
un calcio più genuino e pieno di sogni rispetto a quello patinato di oggi,
fatto di tatuaggi, di capelli sempre in ordine e di ingaggi faraonici. Il
secondo punto è da ricercare nella presenza dei tantissimi stranieri presenti
nelle squadre. Anche qui c’è da fare un parallelo con il passato. Dopo il
fallimento dei mondiali del 1966, la federazione decise di chiudere le
frontiere agli stranieri. Quelli che erano già tesserati sarebbero rimasti in
squadra. Per gli altri non c’era più posto. È quello che dovrebbero fare anche
oggi. Basta scorrere le formazioni delle squadre di A per capire dove sta il
problema. La percentuale di italiani titolari si aggira su percentuali sempre
più basse. Il caso più clamoroso, per citarne uno, è stato quello dell’Inter
campione d’Europa nel 2010: se non fosse ad un certo punto entrato Materazzi,
la formazione campione sarebbe stata composta da soli stranieri. Pazzesco!! Bisogna
invertire la tendenza prima che sia troppo tardi. Basta ai nomi esotici o a chi
ha messo in fila due partite degne di nota facendo schizzare il prezzo del
cartellino. Bisogna investire sui giocatori italiani, costi quel che costi. Con settori giovanili si strutturati ma meno ingessati. Non
è possibile che il nostro miglior candidato al pallone d’oro sia Barella. Per carità,
buon calciatore ma lontano anni luce dalla generazione dei Totti e dei Del
Piero. Ma non sarà una cosa semplice perché dopo la legge Bosman il calcio è
cambiato completamente. Tra ingaggi saliti alle stelle e procuratori che
tengono in ostaggio le società, il calcio ha preso una strada senza ritorno. Adesso
ci sono gli arabi che hanno solo i soldi (ma poi pagheranno davvero quello
cifre?) ma non hanno tradizione, non hanno storia, non hanno partite di
cartello, non hanno derby che infiammano le tifoserie. Serve un ritorno alla
normalità, serve che il calcio torni ad essere della gente, servono le maglie
dall’uno all’undici. Ad maiora
Origine fotografia: Calciatori Brutti
Non ne capisco niente di calcio sia chiaro, ma è una fotografia del calcio passato struggente. Molto molto bello!!
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